Scuola Leonardo da Vinci Roma
Livello C1N9 seconda parte
Lezione 2 - esercizio 3
Inserisci la forma corretta, poi premi "Controlla" per verificare le tue risposte. Usa il pulsante "Aiuto" per avere un indizio e vedere una lettera della forma da inserire. Fai attenzione, perché perderai alcuni punti se userai "Aiuto".
CONIUGA GLI INFINITI AI TEMPI E AI MODI CORRETTI.
Il pianista Cesare Picco: “La prima volta che ho suonato al buio”
Suono a occhi chiusi. Da sempre. Tutti i musicisti, dilettanti o professionisti, lo fanno. Credo che (POTERE)
essere considerato un istinto naturale. Chiudono gli occhi le rockstar negli stadi davanti a centomila persone, i suonatori ambulanti, i cantanti di liscio nelle balere. Amo i direttori d’orchestra che guidano i loro musicisti a occhi chiusi: novanta persone comandate da un uomo che usa gli occhi non per guardarle, ma per ascoltarle profondamente.
Sono sicuro che, quando chiudo gli occhi, (AVERE)
il privilegio di guardare il mondo in altro modo. Amplifico il suono di me stesso, quel suono che cerco come il rabdomante l’acqua. È come se il buio (RENDERE)
tutto possibile. Il mondo scompare. Rimango finalmente solo. Solo con il mio suono.
È la sera del 21 maggio 2009 e mi trovo a Milano nella sala principale di uno studio di registrazione sui Navigli. Sono fermo, in piedi, di fianco al pianoforte a coda storico su cui – mi dicono - (SUONARE)
anche Duke Ellington. Una ventina di amici sono lì con me, per un esperimento di cui nessuno dei presenti conosce ancora i contenuti. “Venite per favore”, ho semplicemente detto loro al telefono qualche giorno prima. “Vorrei tanto che mi (AIUTARE)
con una cosa.”
In qualunque modo (ANDARE)
a finire la serata, i loro pareri e le loro sensazioni saranno per me fondamentali. E poi, come andrà realmente a finire questa serata? Quello che sto facendo ha senso? Sono i pensieri che mi rimbalzano nella testa mentre li osservo, chi steso per terra sui tappeti, chi stravaccato sui divani. Mi piace questo loro modo di stare attorno a un pianoforte, perché è come se lo strumento (TRASFORMARSI)
magicamente in un falò.
Silenzio. Prendo coraggio e cerco le poche e giuste parole per spiegarmi.
“Sto indagando da qualche tempo il buio, la relazione tra il buio e la musica. Siete qui per un esperimento che prevede di partire in questa penombra per arrivare, in una decina di minuti, al buio assoluto. Le luci diminuiranno gradualmente. Nel pomeriggio abbiamo oscurato ogni fonte luminosa presente nella stanza, e non c’è nessuna infiltrazione dall’esterno. Spegnete i cellulari, se avete orologi con parti fosforescenti, riponeteli in borsa. Quello che affronteremo sarà il buio vero. Continuerò a suonare nel buio per una trentina di minuti e poi vivremo il processo inverso. La luce tornerà lentamente, per arrivare al punto di inizio. Immagino che (ESSERE)
inutile dirvi, visto che mi (CONOSCERE)
bene, che quello che suonerò sarà pura improvvisazione, un flusso di musica senza interruzioni. Spero vi (PIACERE)
. Buon ascolto e a dopo.”
Il silenzio continua, alle mie orecchie diventa quasi assordante.
Guardo il tecnico delle luci e mi fa cenno che per lui tutto è a posto e si può cominciare. Faccio lo stesso con l’audio: pronto a registrare. Do un’ultima veloce occhiata ai miei amici. Sono qui, l’ho voluto io. Nulla da sapere e tutto da inventare. Nella mente non ho pensieri.
Pura incoscienza, mi dico. Inizio a suonare. E tutto prende finalmente forma nella mia mente.
(Adattato da www.ilpost.it)
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